Carlo Locatelli, Presidente della sezione ENPA di Ravenna ( di cui sono socio ) mi ha chiesto di mettere in forma scritta alcune riflessioni sulle modifiche apportate dalla legge di Bilancio 2023 alla disciplina faunistica con particolare riguardo all’art. 19 (controllo della fauna selvatica) della legge 11 febbraio 1992 n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omoterma e per il prelievo venatorio). Alla luce della professione che ho svolto per tutta la vita ho ritenuto che mi venga richiesto un parere giuridico.
Da questo punto di vista si tratta di porre a confronto il testo fino ad ieri vigente dell’art. 19 col testo portato dall’art. 1/ comma 447 della legge di Bilancio 2023, che consta ora di cinque comma in luogo dei precedenti tre. Il contenuto del primo comma è sostanzialmente immutato e continua ad autorizzare le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano a vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia a determinate specie di fauna selvatica. Le modifiche portate dai nuovi comma riguardano soprattutto le disposizioni di cui al precedente secondo comma, che già autorizzava le regioni a provvedere al controllo, “esercitato selettivamente” e “di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici”, delle specie di fauna selvatica anche nelle “zone vietate alla caccia”. Con le modifiche spariscono l’avverbio “selettivamente” e i “metodi ecologici” (espressione in realtà dal dubbio significato) mentre vengono aggiunte alle finalità da perseguire la tutela “della biodiversità”, della “pubblica incolumità” e della “sicurezza stradale” e dopo “zone vietate alla caccia” viene aggiunto l’inciso “comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto”. Le polemiche, alquanto vivaci, determinate da questa aggiunta non tengono conto che per le “aree protette” si tratta solo della specificazione del significato da attribuire al termine “zone vietate alla caccia”, della formalizzazione normativa di una realtà di fatto che da tempo vede forme di controllo della fauna quali cattura e abbattimento praticate nelle “aree protette”, cioè parchi e riserve naturali, se, come riferito dal presidente di Federparchi, “nei soli parchi nazionali e regionali nel 2021 sono stati abbattuti o catturati e poi abbattuti oltre 16.000 cinghiali”.
Evidentemente cinghiali rimasti nel loro habitat, quindi diversi da quelli turistici in visita a Roma, la cui “rimozione” dalle strade, per i rischi che comportano (pubblica incolumità, circolazione stradale, sanità), rappresenta da sempre non solo una facoltà, ma un vero e proprio dovere per la pubblica amministrazione, per cui la disposizione riguardante le aree urbane ha, anzitutto, il senso di indicare una delle modalità con le quali procedere alla indispensabile “rimozione”. Tuttavia per queste particolari aree, di solito sottratte a qualunque attività genericamente definibile “venatoria”, sussiste indubbiamente il rischio di ampliamenti che potrebbero, in ipotesi, porre problemi. Difatti, non si tratta solo dei cinghiali, perché la normativa, tanto nel vecchio quanto nel nuovo testo, ha, inevitabilmente, carattere generale e riguarda il controllo di tutte le specie della fauna selvatica, sicché nella sua concreta applicazione “cittadina” potrebbe in futuro coinvolgere in particolare molti volatili come (oltre agli storni già oggetto di specifiche disposizioni) i gabbiani o altri uccelli, magari appartenenti a specie non autoctone, come i parrocchetti, a Roma -pare - assai più numerosi dei cinghiali.
Quanto alla possibilità di effettuare le operazioni di controllo “anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto”, si tratta indubbiamente di una novità, tuttavia, sembrerebbe, non meritevole di particolari contestazioni. Difatti, non trattandosi di “esercizio di attività venatoria”, ma di controllo e contenimento (il nuovo testo dell’art. 19 lo dichiara espressamente, ma la diversità delle due attività è da sempre pacifica), non vi è motivo di applicare disposizioni che riguardano specificamente la caccia “sportiva”. Del resto il controllo della fauna trova una sua specifica regolamentazione nei piani regionali di “controllo numerico”, che hanno come dato fondamentale appunto il numero di capi da catturare o abbattere, sicché poco rilevano i giorni di effettuazione dal momento che il “prelievo” deve cessare una volta raggiunto il numero predeterminato (ovviamente giorni e ore dovranno essere correttamente individuati e disciplinati, di luogo in luogo e di volta in volta, dai “piani” in modo da non mettere in pericolo la pubblica incolumità o anche, soprattutto nei periodi di divieto, di evitare un eccessivo disturbo per la fauna, con particolare riguardo alla fase riproduttiva, ma a questo proposito va tenuto presente che la formulazione di questi piani è soggetta alla previa approvazione dell' Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
Allora tutto bene? Purtroppo no. L’art. 19 nel vecchio testo disciplinava in due tempi l’attività di controllo faunistico delle Regioni. Il primo prevedeva, come si è già detto l'utilizzo “di norma” di metodi ecologici e solo a seguito della verifica da parte dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica” della “inefficacia dei predetti metodi” il passaggio ai “piani di abbattimento”, la cui attuazione veniva riservata esclusivamente “alle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali”, autorizzate ad avvalersi “dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l’esercizio venatorio”.
Il nuovo testo conserva la suddivisione in due momenti con riferimento, per il primo, a metodi di controllo regionali non meglio specificati, ma che non possono essere né la cattura né l’abbattimento, dato che questi appartengono alla seconda fase, quella, appunto, dei piani di abbattimento e cattura, che si apre con la constatazione della loro inefficacia e il parere dell’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Niente da dire finché non si passa alle disposizioni della fase attuativa, che rendono la norma contraddittoria e di difficile comprensione. Da un lato, viene sottolineata la necessità della preparazione e degli aspetti tecnici dell’attività da svolgere. Difatti per esservi coinvolti ai proprietari e conduttori di fondi non basta più, come in precedenza, la licenza venatoria, ma occorre avere frequentato i corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti”. E’ inoltre previsto“l’eventuale supporto in termini tecnici e di coordinamento del personale del Comando unità per la tutela forestale ambientale e agroalimentare dell'Arma dei carabinieri”. Per contrapposto, l’attuazione dei piani di controllo non è più affidata in prima battuta alle guardie venatorie o ad altri pubblici funzionari dotati di preparazione professionale, ma a soggetti che praticano un’attività ludico-amatoriale (accompagnata da notevoli e tutt’altro che secondari aspetti di bussiness economico), cioè ai “cacciatori iscritti agli ambiti territoriali di caccia o nei comprensori alpini delle aree interessate, previa frequenza di corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti a livello regionale”. E’ previsto sì l’intervento degli “agenti delle Polizie provinciali o regionali”, ma solo con compiti di coordinamento, oltre alla facoltà (se, come pare, vanno identificati con le ”autorità deputate al coordinamento dei piani di abbattimento” menzionate nella norma) di avvalersi - alle condizioni appena indicate - dei proprietari e conduttori dei fondi interessati nonché “ delle“guardie venatorie e degli agenti delle polizie locali”.
Norma contraddittoria e anche irrazionale, che, mettendo in prima linea, in ipotesi anche a titolo esclusivo, i cacciatori e rendendo soltanto eventuale la partecipazione delle guardie venatorie, sul piano pratico le più attrezzate e proprio per questa specifica competenza incardinate nella pubblica amministrazione, indebolisce anche la distinzione fra “attività venatoria” e “attività di controllo della fauna”, fondamentale, come si è visto, per dare legittimazione alle norme che disciplinano quest’ultima. Fondamentale anche dal punto di vista del legislatore, perché nell’opinione pubblica è ben presente la consapevolezza che il rapporto fra attività venatoria e tutela ambientale è, nel fondo, sempre conflittuale, sicché l’allargamento della prima si risolve a danno della seconda.
Inevitabile per chi condivide queste preoccupazioni chiedersi cosa avverrà col “Piano straordinario per gestione e il contenimento della fauna selvatica” previsto dall’art. 19-ter inserito nella legge n. 157/1992 dall’art. 1/comma 448 della legge di Bilancio. Si tratta del “piano” che, pur definito “straordinario”, ma anche (e qui vi è un’altra, possibile contraddizione) “lo strumento programmatico di coordinamento e di attuazione dell’attività di gestione e contenimento numerico della presenza della fauna selvatica nel territorio nazionale mediante abbattimento e cattura”, gestirà in concreto per un periodo imprecisato l’effettivo controllo della fauna. Il punto è che alla sua adozione si provvederà, entro 120 giorni dal 1° gennaio 2023, con uno di quei provvedimenti governativi (nella fattispecie decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica di concerto con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste) spesso di fatto utilizzati per portare a conseguenze non previste le norme del testo di legge. Va detto che risulta in parte rassicurante il fatto che l’art. 19/ter riproduca le disposizioni cui al 2° e 3° comma del nuovo art. 19 anche se con alcune varianti, di cui si stenta a comprendere la ragione, ma comunque non negative. Difatti, a differenza, di quanto prevede la norma più generale, l’attuazione del “piano straordinario” non è direttamente delegata ai cacciatori ma alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, che “possono avvalersi” (quindi, una loro scelta) “dei cacciatori iscritti negli ambiti venatori di caccia o nei comprensori alpini, delle guardie venatorie, degli agenti dei corpi di polizia locale e provinciale muniti di licenza per l’esercizio venatorio nonché dei proprietari o dei conduttori dei fondi nei quali il piano trova attuazione”. Per questi ultimi per qualche inesplicabile ragione viene richiesto soltanto il possesso della licenza di caccia e non più anche la frequenza di appositi corsi di formazione.
Infine, prima di chiudere: le modifiche apportate dalla legge di bilancio 2023 riguardano la legge n. 157/1992, ma non la n. 394 del 6 dicembre 1991 (“Legge-quadro sulle aree protette”), che, fra le altre cose prevede uno speciale regime di tutela e di gestione dei territori interessati e delle specie animali che vi sono sono presenti. Potranno, quindi, presentarsi non irrilevanti problemi di raccordo con le nuove disposizioni.
Dott. Francesco Mario Agnoli
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